Omicidio Pamio, ricorso alla CEDU per “diritti umani violati”

l legali di Monica Busetto, condannata in via definitiva 25 anni di reclusione per l’omicidio Pamio, hanno formalizzato il ricorso alla CEDU “per diritti umani violati”

Monica Busetto (Screen video)

Il caso Monica Busetto, condannata a 25 anni di carcere per l’omicidio, nel dicembre del 2012, dell’anziana vicina di casa, Lida Taffi Pamio, approda alla Corte europea dei diritti dell’uomo. I legali dell’infermiera mestrina, Stefano Busetto e Alessandro Doglioni, hanno inoltrato nei giorni scorsi il ricorso alla CEDU di Strasburgo. Una vicenda giudiziaria, nonostante la condanna definitiva, che presenta, infatti, ancora troppe ombre e che in quasi otto anni di processi ha visto un numero eccessivo di colpi di scena.

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I legali hanno incentrato il loro ricorso su quattro punti: il diritto dell’imputato alla presunzione d’innocenza, il diritto alla parità delle armi, l’arbitrarietà del trattamento sanzionatorio e infine una serie di (presunti) procedimenti “viziati”.

Omicidio Pamio, ricorso alla CEDU per “diritti umani violati”. I 4 punti del ricorso

Per la legge l’imputato deve avere a disposizione gli stessi elementi dell’accusa. Ebbene, “sono tanti gli elementi che ci hanno spinto a dire che questo principio è venuto meno – hanno spiegato i legali della Busetto- uno su tutti quello che riguarda la famosa collanina: avevamo chiesto una perizia per verificare se la rottura fosse stata provocata da stress da strappo o da piegamento perché riposta in un portagioie. Il giudice però non ha mai ritenuto che servisse”. La collanina è la prova regina che ha incastrato Monica Busetto: rivenuta nel portagioie dell’infermiera, su di essa sono state riscontrate tracce di dna della vittima. Tuttavia per i legali della Busetto la quantità di materiale biologico è talmente infinitesimale (3 picogrammi) da poter essere il frutto di una contaminazione, il che motiva il secondo punto: il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza. “Tutto il procedimento è partito dall’assunto che Monica era colpevole e che quindi doveva dimostrare la sua innocenza. La collanina? Ha dovuto cercare di dimostrare che era sua ma l’accusa non ha mai dovuto dimostrare che fosse appartenuta alla vittima“.

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Infine le “situazioni viziate” che chiamano in ballo soprattutto all’altra protagonista della vicenda, Milly Lazzarini, la donna che ha confessato l’omicidio nel 2016 dopo essere stata arrestata per il delitto di un’altra anziana, Francesca Vianello, con le sue tre diverse versioni fornite nel corso di 5 interrogatori: “Sono stata io”, “è stata Monica e io l’ho aiutata”, “sono stata io e Monica mi ha aiutata“. Secondo gli avvocati della Busetto, le diverse ritrattazioni della Lazzarini, senza che mai ne abbiano messo in discussione l’attendibilità, hanno prodotto dei condizionamenti. Infine l’arbitrarietà del trattamento per il mancato riconoscimento delle attenuanti per degli atteggiamenti, secondo i legali, “tenuti dalla Busetto quando non era imputata“.

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