Andrea, nata e cresciuta a San Patrignano. “Avevo paura, ma ora sto cominciando a vivere”.

Concepita nella comunità di San Patrignano, i genitori si stavano disintossicando. A 32 anni ha trovato il coraggio di raccontare la sua storia. Ne è nato un romanzo che parla di amore e soprusi.

La storia di Andrea

Andrea è una bambina che vive in un mondo apparentemente tranquillo, fatto di amore e serenità, ma anche di catene e abusi. Violenze che non vede. E’ nata e cresciuta a San Patrignano e solo oggi è riuscita a parlare della sua storia. Ne ha tratto ispirazione per il suo primo romanzo, La Collina (edizioni Fandango Libri), che Andrea Delogu ha scritto con lo sceneggiatore Andrea Cedrola. Ripercorre le vite dei suoi genitori, due ex tossicodipendenti che vivevano in comunità.

“Ho avuto un’infanzia felice mio padre era l’autista e l’uomo di fiducia del capo della comunità. Per questo lo vedevo poco, era spesso fuori. Anche mamma aveva un lavoro, si occupava di fotografie. Avevamo una nostra casa e mangiavamo tutti a mensa. Per me era normale vivere in mezzo a 2.000 persone”.

 

Il padre-padrone

“Noi avevamo un dio, lo potevi vedere, toccare. Era il padre di tutti. Nel libro l’ho chiamato Riccardo. Ci imponeva regole rigide, ma per me era una cosa normale. C’erano anche punizioni pesanti. L’ho capito solo in seguito. Quando siamo andati via avevo dieci anni e sono tornata a rivedere quei luoghi solo molti anni dopo”.

Il capo della comunità era una guida che decideva tutto, anche chi amare o odiare. “Quando mio padre conobbe mia madre chiese il permesso a Riccardo per frequentarla. Era lui a decidere se potevano stare insieme. All’interno della coppia mia mamma, nel libro Barbara, era più ribelle rispetto a papà, nel libro Ivan. E’ grazie a lei che non mi sono persa nell’adorazione della figura di Riccardo. Quell’uomo si proponeva come un ‘sostituto’ delle famiglie che non erano riuscite a liberare i figli dall’eroina. Ma era mamma a spiegarmi che quell’uomo non era ‘un dio’. Mi ha sempre detto che il mondo era un altro per prepararmi al momento nel quale saremmo usciti”.

Un mondo diverso

Andrea cresceva in un ambiente ‘diverso’ rispetto ai suoi coetanei, ma era serena. Seguiva i genitori e si sentiva al sicuro. Non pensava a quello che c’era oltre la collina, al ‘mondo fuori’. “In quegli anni uscivamo per andare a trovare i parenti, ma non cercavo la libertà. Amavo il mondo della comunità. In collina si viveva senza soldi, a contatto con la natura, conoscevo tutti. Non c’erano vizi. Nessuna differenza fra le persone – racconta Andrea – Tutti avevano da mangiare. Vedevo persone con dei lividi, ma pensavo che ci fosse un motivo. Mi fidavo degli adulti, non stava a me chiedermi il perché. Vedevo pure persone arrivare in condizioni difficili per la droga, ma non mi facevo domande. Ero serena. Gli adulti nascondevano anche situazioni e abusi più gravi”.

 “Riccardo era un visionario. E’ stato il primo a occuparsi del problema dell’eroina, ma a un certo punto ha voluto controllare troppe cose. Ha voluto troppo potere ed è diventato spietato. In questa storia non ci sono eroi. Molti si sono salvati, ma non tutti”.

“Mio padre era entrato in comunità per proteggermi, ma in seguito ha capito che proprio lì potevo essere in pericolo. Mise in salvo il suo nucleo familiare e portò tutti via. Mia madre voleva aiutare anche gli altri, ma non fu possibile. Lui era più lucido”.

L’inizio di un periodo difficile e di sofferenza

“Ero nata lì e per me quel posto era ‘casa’. Non potevo tornarci e ho sofferto, ero cresciuta in un ambiente pieno di animali, senza la paura di attraversare la strada e di finire sotto una macchina. Siamo andati a vivere a Rimini. Non ero abituata a prendere appuntamento per andare a trovare gli amici, né a dire in continuazione ai miei dove mi trovavo. Penso comunque che quello fosse il momento giusto per lasciare la comunità. Stavo crescendo”.

La bambina diventata donna.

Andrea non rimprovera nulla alla madre e al padre, un tempo schiavi dell’eroina.

“Non sono una vittima. Con la droga i miei genitori hanno fatto un errore. Hanno riempito un vuoto, sbagliando. Non posso accusarli, anzi mi sento orgogliosa di loro. Mi hanno evitato di soffrire, soffrendo al posto mio. Sono nata in un momento brutto, è come nascere in guerra. Per 18 anni sono stata zitta. Non ho raccontato mai che cosa avevo vissuto. Avrei dovuto spiegare troppe cose. Solo oggi sono riuscita a trovare il coraggio di parlare di questa storia, rintracciando tante persone che hanno condiviso quell’esperienza con noi. Mi sono liberata. Avevo paura, ma ora sto cominciando a vivere”.

 

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