Tibet: la visita di Xi dimostra quanto la Cina abbia in pugno la regione

L’accoglienza per Xi Jinping in Tibet sembra esser stata una delle migliori cerimonie di una regione nei confronti di un’autorità suprema, ma questa è la versione raccontata dai media cinesi. Quella del presidente cinese è la prima visita istituzionale dopo 31 anni e dimostra come il Tibet sia sempre di più nella morsa della superpotenza.

LINZHI, CHINA – JUNE 04: A photo of President Xi Jinping and Chairman Mao Zedong is seen in a Tibetan homestay in the Lulang town tourist village during a government organized visit for journalists on June 4, 2021 in Linzhi, Tibet Autonomous Region, China. Travel restrictions for foreign travellers were recently loosened in a bid to boost tourism to Tibet. China’s government is aiming for 61 million visitors annually by 2025, more than 15 times the number of Tibet’s inhabitants. Foreign journalists, normally not permitted to travel to the autonomous region, were recently taken on a government-organized visit. (Photo by Kevin Frayer/Getty Images)

Quella di Xi Jimping in Tibet è stata una visita molto particolare, e non perché Pechino abbia aspettato quasi la fine del viaggio per comunicarlo, nel tipico stile cinese, ma perché questo accade dopo 31 anni, e soprattutto si tratta di una dimostrazione di come la Cina voglia esercitare un piano potere sulla provincia autonoma. A fare da cornice alla visita di Xi è stata un’accoglienza quasi reale. Le accuse di repressione nei confronti della Cina, accusata di sopprimere il popolo tibetano e le stessa libertà religiosa non sono mai state cancellate e gli effetti sono tangibili anche dopo il discusso accordo dei 17 punti. La Cina ha da sempre affermato che sotto il dominio del governo centrale il Tibet si sia invece sviluppato.

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L’ultima visita da parte di un presidente era avvenuta nel 1990, in quel caso si trattava di Jiang Zemin. Il racconto della stampa cinese è stata naturalmente quella di una visita all’insegna del dialogo per la difesa della cultura tibetana e della religione – ma la realtà è da 70 anni ad oggi molto diversa. Il popolo tibetano lamenta la dominazione della Cina, incapace non solo di tutelare la minoranza, ma anzi di sopprimerla e reprimerla, come successo storicamente in modo costante e mai troppo velato – la rivolta tibetana del 1959 e i fatti di Tienanmen sono forse gli avvenimenti dove la repressione cinese ha raggiunto livelli molto ampi e tragici.

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La visita di Xi è ancora una volta la spia che spiega come la Cina eserciti ancora oggi, anzi, soprattutto oggi, una forza dominante importante. Nelle stesse parole del presidente, che ha affermato il “Buddhismo si adatti alla società socialista”, chiudono un cerchio particolarmente misterioso sulla connessione Cina-Tibet: con la comunicazione istituzionale la Cina ha nell’ultimo decennio trasmesso l’istinto di un nuovo equilibrio nel rapporto ma, analizzando i fatti il Tibet sembra esser stato un riferimento più di interessi economici (turismo) che di reale tutela. Ed è proprio il turismo di massa che ha messo in crisi e rischia di sopraffare la purezza di una regione e della suo spiritualità. La Cina ha in questo contribuito a chiedere al popolo tibetano una sorta di sottomissione, a garanzia di un mantenimento di promesse che il presidente Xi ha dichiarato voler elargire nei confronti del popolo. Così la Cina torna a garantirsi un dominio che ristabilisce in qualche modo la volontà pre-pandemica della Repubblica Popolare Cinese di consacrare lo status di potenza egemone dell’Asia e dell’emisfero orientale, come dimostra la presenza sempre più centrale della Cina nello stesso medio-oriente.

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