Come la storia di Catia e della sua famiglia, raccontano la dislessia

«Capire più da vicino che cosa sia la dislessia, fare un salto culturale e comprendere che davvero è semplicemente una caratteristica, può seriamente aiutare molti ragazzi ad avere un approccio diverso alla scuola e allo studio, per evitare il rischio che, se incompresi e lasciati soli, finiscano per abbattersi e “mollare” ». Questo l’intervento di Catia Valentini, presidentessa della sezione di Parma dell’Aid, l’Associazione italiana dislessia.

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La storia di Catia è una storia che permette a chi vive con familiari, parenti, conoscenti dislessici di trovare un appoggio, umano in primis. Considerata, spesso, come una malattia, la dislessia è, tecnicamente, un «disturbo specifico dell’apprendimento» (Dsa), ma i medici la chiamano «neurodiversità». Per chi ci convive, la dislessia è semplicemente una caratteristica (come lo è essere mancini, ad esempio).

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Ma, definizioni a parte, a farci capire più da vicino che cosa significhi essere dislessici – una condizione che interessa sul nostro territorio il 6% degli alunni fra la terza elementare e la quinta superiore – è la famiglia di Catia Valentini. Lei e i suoi tre figli – Luca, Marco e Lara, rispettivamente 25, 22 e 17 anni – sono tutti dislessici. Se qualcuno avesse ancora dubbi, basterebbe farsi una chiacchierata con loro per rendersi conto che questa caratteristica non ha nulla a che fare con l’intelligenza, infatti il QI degli alunni dislessici è in media uguale o leggermente superiore a quello di tutti gli altri ragazzi ( basti dire che alcuni tra i più grandi geni della storia erano dislessici, da Einstein a Leonardo da Vinci, arrivando a Andy Warhol).

Di che cosa si tratta, quindi?

Leggere e scrivere sono azioni semplici quando sono automatiche, se eseguite cioè velocemente e correttamente, con un impegno di concentrazione minimo; quando questo non accade, però, chi compie queste operazioni è costretto ad un impiego eccessivo di energia, stancandosi rapidamente e commettendo errori.

La storia di Catia e della sua famiglia

«Il primo ad essere diagnosticato fu mio figlio Marco – racconta Valentini, presidentessa della sezione di Parma dell’Aid, l’Associazione italiana dislessia -. Già a metà della prima elementare ci rendemmo conto che qualcosa non andava, perché faceva molta fatica a leggere. Lui ha avuto delle bravissime maestre, che l’hanno aiutato sin dall’inizio, anche se la diagnosi è arrivata poi solo alle medie ». Marco esultava entusiasta per essere riuscito a imparare una poesia a memoria in inglese dopo ore di studio, ma bastavano 5 minuti e se l’era già dimenticata. Quando sono cresciuto ho capito che questa era ed è semplicemente una mia caratteristica: siamo tutti uguali, ma tutti diversi ».«Mi sentivo diverso e mi arrabbiavo con tutti, perché non riuscivo a far capire agli altri la fatica che facevo ad apprendere – racconta il ragazzo, che oggi è istruttore di nuoto della Finp -.

Dalla diagnosi di Marco, è arrivata la consapevolezza della dislessia anche di mamma Catia.

 «Mi rivedevo molto in lui, perché avevo sempre difficoltà a imparare ea ricordare – Sottolinea -. Al lavoro, nel tempo in cui le colleghe facevano 250 operazioni, io magari ne riuscivo a fare solo 200, pur impegnandomi allo stremo e rinunciando ad ogni minima pausa. Non capivo perché, ma poi mi è stato chiaro ». Luca, il più grande, è disgrafico e disortografico: studia zootecnica all’università. Dopo la diagnosi del fratello è arrivata anche la sua, mentre a Lara, che ha seguito tutto il percorso canonico con diagnosi, laboratori e logopedia, la dislessia è stata riconosciuta alla fine della quarta elementare. «Negli anni ho trovato il mio metodo, gli strumenti per riuscire, nello studio, come desideravo» specifica Lara, che oggi frequenta il liceo delle scienze umane.

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«Non deve succedere più ad altri ragazzi di sentirsi in difetto – spiega Catia Valentini -. C’è tutta una serie di strumenti compensativi a disposizione che consentono loro di essere messi a pari condizioni degli altri alunni per studiare e apprendere: strumenti di sintesi vocale, mappe concettuali, libri di testo in digitale, programmi di videoscrittura, solo per fare alcuni esempi, che vengono riconosciuti nel piano didattico personalizzato (Pdp) dei ragazzi con Dsa ». Oltre alla dislessia, fanno parte dei Dsa disturbi che riguardano la correttezza della scrittura (disortografia), la realizzazione grafica della scrittura (disgrafia) e il calcolo (discalculia). Siamo noi i primi a non dover tentare di nascondere quello che siamo ».

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