Don Giuseppe Diana, chi era il prete ucciso dalla camorra

Don Giuseppe Diana, è un sacerdote che venne assassinato dalla camorra perché voleva servire la verità e combatteva tutti i giorni per non lasciare i giovani in mano alla criminalità.

Don Giuseppe Diana, chi era il sacerdote ucciso dalla camorra (DonGiuseppeDiana.org)
Don Giuseppe Diana, chi era il sacerdote ucciso dalla camorra (DonGiuseppeDiana.org)

Il 19 Marzo del 1994 dopo le ore 7 del mattino, un sacerdote dopo aver risposto alla domanda: Chi è Don Peppe? Verrà freddato con 5 colpi di pistola, i colpi risuoneranno nella sacrestia della chiesa di San Nicola a Casal di Principe.

Il sacerdote è morto a 36 anni, era il parroco e capo scout Agesci, molto impegnato con i giovani e vicino alle persone più fragili e soprattutto ai disabili e agli immigrati.

Il prete parlava chiaro ed era molto diretto nel suo modo di fare, infatti non aveva paura di esporsi e di pronunciare il nome della camorra accusandola e additandola come qualcosa da evitare ad ogni costo.

I killer della camorra decisero di ucciderlo proprio nel giorno del suo onomastico, proprio mentre stava uscendo dalla sacrestia per celebrare la messa, i suoi amici lo stavano aspettando per festeggiare, ma purtroppo l’uomo non sarà lì con loro.

Il sacerdote era per tutti conosciuto come Peppe o Peppino, nasce a Casal di Principe il 4 Luglio del 1958, i suoi genitori erano dei coltivatori.

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Don Giuseppe Diana, la sua era una famiglia semplice e dignitosa, proprio come lui

Nel 1968 entrerà nel seminario di Aversa, subito dopo studia teologia nel seminario di Posillipo, ovvero la sede della Pontificia facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.

In questa sede si laureerà in Teologia Biblica, per poi laurearsi in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli, mente nel 1978 farà parte dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, dove diventerà Caporeparto.

Nel 1982 otterrà il titolo di sacerdote, per poi diventare assistente ecclesiastico del gruppo scout di Aversa. Dal 1989 diventerà parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, per poi diventare il segretario del vescovo della diocesi di Aversa.

Nel 1983, dopo un grave omicidio di camorra il quale ha coinvolto 3 ragazzi uccisi e bruciati, sarà il primo tra gli organizzatori di una manifestazione nella sua città natale, dove distribuirà un volantino che inciterà i cittadini a non avere più paura della camorra.

Nel 1988 dopo l’assalto alla caserma dei Carabinieri a San Cipriano d’Aversa, parteciperà alla costituzione di una sezione anticamorra che produrrà un documento intitolato “Liberiamo il futuro”.

Il documento verrà seguito e sottoscritto da diversi parroci, partiti, politici e associazioni, dopo l’uccisione di un giovane testimone di Geova, ucciso per sbaglio il sacerdote continuerà a lottare contro la camorra impegnandosi ancora di più.

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Il sacerdote andrà per le scuole e associazioni casertane a diffondere l’idea anticamorra

Distribuirà degli opuscoli che hanno ben scritto in maniera molto chiara che la camorra oggi, è diventata una forma di terrorismo, la quale riesce ad incutere paura, imponendo leggi e tentando di soggiogare la società campana.

Per questo motivo il sacerdote insieme a tutti gli altri parroci ha cercato di denunciare i soprusi riproponendo con forza e diverse iniziative parrocchiali, l’insegnamento di Dio tramite la giustizia e la verità.

Il suo documento si è scontrato aspramente contro il potere della camorra, il sacerdote aveva le stesse idee di Pino Puglisi, la vittima di “cosa nostra”, ovvero allontanare quanto più possibile i giovani dalle illusioni criminali.

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Con gli Scout cercò di disilludere i giovani soggiogati dalla camorra, infatti fu uno tra i primi ad aprire la parrocchia a tutti gli sfruttati e le vittime della prostituzione.

L’impegno del parroco fu bloccato proprio dai colpi della camorra, ma Augusto di Meo amico del sacerdote, proprio mentre stava entrando in parrocchia per offrirgli la colazione per via del suo onomastico, vide bene in volto il killer Giuseppe Quadrano.

Subito dopo si recò dai Carabinieri e raccontò tutta la vicenda identificando in primo luogo il killer, questa sua testimonianza fu una prova determinante all’individuazione degli esecutori e dei mandanti.

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