Quando il no vax Mauro da Mantova era arrivato in ospedale i suoi polmoni erano già gravemente compromessi: la testimonianza del personale sanitario raccolta dal Corriere del Veneto.
Sfiducia nella scienza, negazione della pandemia in atto e rifiuto delle cure, al costo di mettere a repentaglio la propria vita. Sono ormai quasi all’ordine del giorno le notizie dei no vax che, dopo essere risultati positivi al Covid, finiscono nei reparti di terapia intensiva in gravi condizioni di salute. La morte di Mauro Buratti, alias Mauro da Mantova, è solo uno dei casi più noti.
Divenuto una celebrità per i suoi interventi complottisti a La Zanzara, trasmissione di cui era spesso ospite, è morto nelle scorse ore in ospedale a Verona, dove qualche settimana fa era stato intubato. Quando era stato convinto a farsi ricoverare dopo le iniziali resistenze, la sua situazione era già compromessa e le cure si sono dimostrate vane. Il Corriere del Veneto ha riportato la testimonianza di coloro che hanno provato a salvargli la vita.
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Quando Mauro Buratti è arrivato in ospedale aveva la saturazione molto bassa e l’apparato respiratorio in gravi condizioni, con l’infezione che era ormai già arrivata a una fase avanzata. Le cure intensive, a causa del suo iniziale rifiuto di rivolgersi ai medici, sono arrivate troppo tardi.
Enrico Polati, direttore del reparto di Borgo Trento in cui si trovava ricoverato il convinto no vax, ha raccontato al Corriere del Veneto che le sue condizioni di salute erano disperate. “Abbiamo fatto di tutto e di più – ha sottolineato – ma la malattia è stata inesorabile”. Il 61enne è rimasto in terapia intensiva per 22 giorni, durante i quali la struttura ospedaliera è stata quotidianamente in contatto, come da routine, con la figlia.
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Il quotidiano ha raccolto anche la testimonianza di una delle infermiere che si sono prese cura di Buratti. Secondo il suo racconto, l’uomo non si è rivelato un paziente facile da gestire, non soltanto per le sue condizioni di salute. “La spocchia che mostrava in radio – si legge nelle dichiarazioni riportate – è appena il dieci per cento di quella che ha fatto vedere quando è arrivato in Pronto Soccorso”.
L’infermiera, premettendo di aver provato a curarlo con ogni mezzo possibile insieme al resto del personale sanitario, ha evidenziato tutta la stanchezza “di essere derisi e insultati da chi poi deve ricorrere a noi quando è con l’acqua alla gola”.
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